La trasposizione del videogioco per Xbox prodotta da Steven Spielberg, dall’8 febbraio su Paramount+, dimostra con i primi quattro episodi della seconda stagione di essere sempre più bella


La seconda stagione della serie di fantascienza Halo, dall’8 febbraio su Paramount+, predilige un percorso più indipendente rispetto al videogioco da cui tratta – pur mantenendone i punti saldi -, e questa è un’ottima notizia. E non perché il franchise di Bungie/343 Industries non sia uno degli Ip più avvincenti mai creati, ma perché le incessanti critiche e i confronti sulle deviazioni dall’originale dirottano l’attenzione dall’effettivo valore di una serie sottovalutata e bellissima. La prima annata dell’adattamento prodotto da Steven Spielberg, infatti, ha sopportato le invettive dei seguaci del gioco per Xbox fin da subito, a causa della scelta di mostrare il volto del suo protagonista Master Chief. La sceneggiatura lo ha fatto con una scena studiatissima, suggestiva ed emozionante, dopo che il soldato aveva tenuto saldamente il casco incollato per vent’anni e più di militanza sulle consolle di tutto il mondo. A John è stato concessa addirittura una breve esperienza sentimentale (qui, in verità, abbiamo anche noi le nostre riserve) e il suo personaggio è stato costruito come un eroe umanissimo. Corredata da una Cgi spettacolare che ha riprodotto efficacemente la meraviglia degli spazi siderali e degli ambienti futuristici del XXVI secolo, Halo ha portato sullo schermo alcune delle sequenze di battaglia più avvincenti e meglio coreografate del piccolo schermo, adottando lo stile di ripresa del videogioco al massimo delle possibilità del medium.

La seconda stagione di Halo è migliore della prima, meno zavorrata dal peso dei confronti, più sicura dei suoi personaggi, e ancora più umana. I pochi dissennati che hanno continuato a sperare che Halo replicasse le derive fasciste di Starship Troopers ricaverà dalla visione una delusione ancora più cocente: Halo parla di guerra e soldati, ma per mostrare l’ingiustizia della guerra, la benignità dei suoi soldati e l’egoismo dei leader, non per esaltare il machismo delle prodezze sul campo di battaglia o il travisamento dei valori del patriottismo e del senso di appartenenza. Quell’umanità è una dichiarazione d’intenti segnalata fin dal primissimo materiale promozionale: nel poster (in testa all’articolo), Master Chief è inginocchiato in segno di cordoglio sul campo di battaglia, circondato dai caschi e dalle armi dei compagni caduti; è ben lontano dal pensare di celebrare il proprio eroismo. In un altro, volge la schiena a una landa ormai desolata con in spalla il compagno che ha salvato. Nella sigla, Master Chief è un uomo, pieno di cicatrici, che osserva le proprie mani da guerriero, mentre viene avvolto dall’armatura austera da Spartan. Un soldato, ma pur sempre un uomo.

Anche la musica in Halo segnala la volontà di mantenere lo show lontano dai toni celebrativi dell’eroismo militare di molti altri film e serie americani incentrati su soldati e corpi militari. Bear McCreary, già compositore di Battlestar Galactica e di Game of Thrones, eredita da Sean Callery (Homeland) la posizione di compositore dei nuovi episodi conferendo al commento musicale di Halo echi costantemente malinconici. Certo, Halo non è Platoon, ma la colonna sonora è sempre lì a sottolineare allo spettatore che la guerra non è esaltante, non è eroica, non è santa, è solo tragica. I primi quattro episodi sono più intensi, potenti e rifiniti delle puntate che li hanno preceduti. Ci restituiscono un Master Chief amareggiato e tradito. La lealtà di Kai, Riz e Vannak verso il leader è incrollabile, ma quella di John verso il nuovo capo dell’Oni, James Ackerson (Joseph Morgan) vacilla. Per buone ragioni, perché quest’ultimo è una figura melliflua e manipolatrice. Morgan è, se possibile, un attore peggiore del Burn Gorman della prima stagione (per fortuna la parte del villain ambiguo è quella che gli viene meglio). Entrambi supportati da un fandom sfegatato ereditato rispettivamente da show di cult come The Originals e Torchwood, sono oggettivamente acquisizioni che non hanno giovano ala qualità della produzione.

Le interazioni di Ackerson con Master Chief sono quasi sempre conflittuali, perché quest’ultimo è forte di un idealismo, un altruismo e un senso della giustizia inespugnabili mentre per Ackerson conta salvare la faccia (e la pelle). In più, Master Chief è intoccabile: non solo è idolatrato dai commilitoni ed è il soldato più forte dell’Unsc, ma è anche il Prescelto della situazione, essendo misteriosamente collegato alle keystone. La trama della seconda stagione reitera il percorso della prima, nella quale Master Chief è il detentore della verità e affronta le menzogne, l’omertà e la diffidenza dei leader politici e militari per rivelarla, ma è più semplice e lineare. La prima parte, come annunciato dai trailer, culmina in un evento cruciale dei videogiochi, e lo fa con le migliori coreografie belliche – realistiche, tese e drammatiche – del piccolo schermo. Il lavoro degli stunt e quello dei responsabili degli effetti speciali si sposano felicemente. Tuttavia, Halo è una serie umanista, che indaga i limiti degli ideali, del senso di giustizia, della lealtà, dell’amore e del sacrificio dell’uomo attraverso la figura di Master Chief. Halo è e sempre sarà Johncentrica, e per fortuna dentro l’impenetrabile armatura di titanio del mastodontico Spartan c’è il bravo Pablo Schreiber. Tramite il suo personaggio, lo show predica tutto quello che ai fanatici dei giochi di guerra – veri o ludici – non piace, a partire dl concetto che un soldato non deve obbedire ciecamente e distruggere il presunto nemico senza giudicare da sé cosa è giusto e sbagliato.

Master Chief osserva, valuta, decide che un ribelle non è un nemico da abbattere solo perché lo dicono i leader. La seconda stagione espande questa riflessione anche agli altri membri del Silver Team, alle prese con la rimozione del chip che ne inibiva le emozioni. Avevamo osservato Kai godere del cameratismo degli altri soldati, dopo aver trascorso la vita in compagnia solo della sadica scienziata Halsey e degli altri potenziati; ora la storia volge lo sguardo verso Vannak, insospettabile amante della natura e degli animali, e di Riz, che vive un sofferto e introspettivo dramma personale. I nuovi episodi esplorano i legami consolidati e la loro incrollabile purezza – tra commilitoni, tra amanti, tra amici, tra genitori e figli. È la stagione che dimostra, in ogni caso, che chiunque ha un lato umano: la sociopatica Halsey dimostra di essere in grado di provare affetto per qualcuno. Ackerson può mostrare pietà. Nemmeno Makee non ha perso la propria umanità dopo aver trascorso la maggior parte della vita al servizio dei mostri di Covenant. Addirittura l’Ai Cortana si è rivelata più umana dell’umano. Al momento di pubblicazione non sappiamo come evolverà il resto della seconda stagione, ma non crediamo che saremo delusi.

FONTE WIRED

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