Il videogioco che ha posto le basi e ispirato la creazione del nostro amato Halo, sta per tornare. Dopo quasi 30 anni di stanza criogenica, sarà pronto per stravolgere ancora una volta, come fece appunto la sua prima iterazione, il mercato del gaming? Dobbiamo parlarne cari Spartans


E’ stato il Playstation Showcase di qualche giorno fa a rivelare il primo trailer, con brevi tratti finali di gameplay, del nuovo progetto di casa Bungie. Come dicevamo in precedenza, la trilogia di Marathon, uno dei primi progetti di Bungie, fu la base di lancio e fortissima fonte di ispirazione per Halo.

In molti, ai tempi delle prime immagini di Halo pubblicate in rete (ricordiamo che inizialmente l’uscita era prevista solo per il mercato Macintosh), pensarono difatti che quel progetto non fosse altro che Marathon 4.

Il DNA di Marathon continua tutt’oggi ad essere presente in Halo; pensate semplicemente ai tanti riferimenti puramente “grafici” ed artistici che derivano effettivamente dal titolo che fece la storia di Bungie, in primis il simbolo del Reclamatore; passando poi per i nomi delle armi come l’AR, la Fregata Coloniale Marathon in pieno stile Pillar of Autumn, i colossi manufatturieri che hanno contribuito a rafforzare l’arsenale UNSC come Traxus o Misriah Armory, riferimenti all’armatura Mjolnir come lo stesso protagonista che avrebbe indossato una Mark IV, il famigerato Spanker… e questa è solo la punta dell’iceberg!

Quella che stiamo per raccontare è la storia di Bungie e di Marathon, il primo titolo che portò alla ribalta la casa sviluppatrice di Chicago. E di come questo sia incredibilmente legato ad Halo, dal mero logo fino alla lore più importante e intrinseca.

I fondatori di Bungie, Alex Seropian e Jason Jones

La Bungie Studios è un’azienda statunitense dedita allo sviluppo di videogiochi con sede nella città di Bellevue (Washington), fondata nel maggio del 1991 da Alex Seropian e Jason Jones.

Con la sede centrale inizialmente localizzata a Chicago, la società si concentrò su dei giochi da riprodurre su Macintosh durante i suoi primi anni e diede vita a due saghe di videogiochi di successo intitolate Myth e Marathon. Prima ancora, nel 1993, diedero sfogo alla loro fantasia più macabra pubblicando uno dei loto primi titoli su Mac, Pathways into Darkness. I giocatori assumevano il ruolo di un soldato delle forze speciali che doveva impedire a un essere potente e divino di risvegliare e distruggere il mondo. I giocatori risolvevano enigmi e sconfiggevano i nemici per sbloccare parti di una piramide dove questo essere riposava; Il finale del gioco cambiava a seconda delle azioni del giocatore. La Bungie ci riprovava poi con un sequel, Marathon. Questo fu il “biglietto da visita” di Bungie per entrare, di fatto, nella lista delle più proficue case produttrici di VG a livello mondiale; precursore questo Marathon di meccaniche e concetti che hanno poi caratterizzato il titolo pensato prima per Mac, poi divenuto il capostipite e titolo rappresentativo della prima console “made in Microsoft”, Xbox.


Il successo commerciale di Pathways, convinse i fondatori di Bungie Alex Seropian e Jason Jones ad affittare un vero e proprio ufficio nei pressi di Chicago, e per portare avanti progetti ed idee in piena autonomia, assunsero dello staff interno per affiancarli durante la produzione. Uno di questi era Ryan Martell, programmatore in “pausa di riflessione” durante i suoi studi presso la Duke University.

Uno di questi progetti, in cantiere ormai da mesi, possedeva un nome: Marathon.

Inteso inizialmente come un seguito diretto di Pathways, Marathon voleva aggiornarsi e cercare di risolvere quelle lamentele che i giocatori portarono all’attenzione con il precedente titolo, per quanto era possibile farlo all’epoca dei fatti: la poca velocità dei movimenti in generale, e la difficoltà, in questo caso a dir poco troppo presente, che rendeva il gioco non abbastanza longevo.

Un fotogramma di Pathways into Darkness

Modificando lo stesso motore grafico di Pathways, Jason Jones lo rese più leggero ed esteticamente bello da vedere, non dimenticandosi di programmare ancora meglio la stessa intelligenza artificiale dei mostri nemici. Bungie rinominò quest’Alpha, Marathon ZERO, portandone una demo giocabile al Mac Wordl Expo di San Francisco, nel 1994.

La demo venne accolta abbastanza freddamente dal pubblico e dagli esperti del settore, accusandola di essere fin troppo simile al titolo precedente, appunto Pathways. Le aggiunte cosmetiche ed altri update non erano semplicemente abbastanza.

Bungie tornò meramente a Chicago, ma non per abbandonare il progetto, tutt’altro. Ryan Martel si mise sotto, e riuscì a creare in poco tempo un motore grafico nuovo di zecca, accantonando cosi la versione upgradata di quello che muoveva Pathways. Il programmatore ebbe modo di mettere giù le basi per un editor di livello, che prese il nome di Vulcan, che avrebbe sicuramente ottimizzato la creazioni dei livelli. Più in là, Greg Kirkpatrik avrebbe preso parte al team come scrittore, cosi come Doug Zartman che avrebbe gestito la parte “PR” del progetto, precedentemente alla parte tecnica di Pathways. Colin Brent fu costretto a lasciare il progetto, in precedenza artista grafico di Pathways, per esigenze di studio. Il suo posto venne preso da Reginald du Jour, conosciuto per il suo modo particolare di disegno, una sorta di scommessa. Infine Alan Roy, al quale venne donato un Quadra 660 AV, come contributo per aver scritto da zero il network code di Marathon.

L’atmosfera che si percepiva in Bungie era ora molto positiva, si respirava un’aria diversa, una comunità che funzionava davvero bene. Tutti sembravano andare in una direzione: ogni altra attività che non era quella di migliorare Marathon in ogni suo aspetto, era tempo sprecato. Nessuno sembrava farsi grossi problemi a metter da parte primari bisogni fisiologici, come il mangiare o il bere. Tutta la squadra sentiva che c’era un grosso potenziale dietro il progetto, e dovevano solo applicarsi sui metodi migliori per farne uscire un titolo completo che sarebbe rimasto negli annali della storia del videogame.

Jason Jones, Alan Roy e Ryan Martel completarono e debuggarono il motore di gioco, negli stessi momenti lo stesso Martel si occupava dell’editor Vulcan, ottimizzando il codice per renderlo più fruibile. Du Jour spremeva le sue meningi cercando di tirare fuori concept art di quei personaggi che avrebbero preso parte alla storia, incluse anche armi, bellissime anche oggi. Seropian produsse tutti i suoni, componendo altresì una colonna sonora dedicata. Insieme a Jones, Kirkpatrick si dedicava al Vulcan, cercando di creare i migliori livelli single player che Marathon potesse avere, sperando che l’editor non crashasse per qualche bug non ancora risolto. Difatti la prima regola del Vulcan era molto semplice tra lo staff: salvare spesso. Molto spesso.

Marathon, ed il suo eccentrico HUD

In soli due mesi, Marathon raggiunse uno stadio a dir poco apprezzabile, arrivando a possedere 27 livelli single-player finiti e giocabili, ed addirittura 10 mappe multiplayer. Il nome del progetto rimase più solido che mai, e non variò: suggerimenti esterni come Pathways on Uranius non furono presi minimamente in considerazione. Marathon diventò il nome ufficiale del progetto. E nel Luglio del 1994, Bungie lo rese pubblico a livello globale.

La presentazione al MacWorld in Agosto a Boston, fu molto diversa dalla precedente presentazione a Gennaio, dove lo stadio primordiale del gioco venne definito quasi come un Pathways into Darkness 2.0, con qualche aggiunta di qua e di là, ma che non sortì gli effetti voluti dal team. Marathon era divenuto ora un progetto completamente diverso, una bestia pronta a mordere il mercato dei videogame. La reazione del pubblico e dei tecnici di settore fu entusiasmante; in fiera, tutti volevano provarlo anche per pochi minuti, e molti pre-order vennero portati a termine proprio in questi giorni. Certo, con una promessa fatta dalla stessa Bungie: il gioco sarebbe uscito da lì a due settimane! Ma come ben sappiamo, le parole se le porta via il vento, soprattutto in un mercato complicato come quello dei videogames: Marathon venne fatto uscire sul mercato 4 mesi dopo

Semplicemente, in Bungie si erano fatti prendere la mano, ma dopo attente riunioni si decise di rimandare l’uscita, dato che la maggior parte di loro lo vedevano ancora come un progetto migliorabile, soprattutto sotto l’aspetto single-player, a detta di Jones e di altri “poco divertente“. Secondo Jones, intervistato in seguiti, “se un gioco non ti comincia a divertire nei primi 5 minuti, semplicemente lo abbandoni.” Ed è proprio quello che volevano evitare, visto la mole di lavoro, tempo e denaro investito su di esso. Nei giorni successivi alla fiera, cercarono di correggere tutti i bug ancora presenti e di aggiungere magari qualche idea sfuggita in precedenza; ma mentre aggiungevano codice, ce n’era altro che si buggava. Arrivando così, ad un certo punto, ad una decisione che era nell’aria già da un pò: dovevano riscrivere da ZERO tutti i 27 livelli single player.

Artwork del protagonista di Marathon

Pathways into Darkness insegnò alla Bungie l’importanza strategica della trama, della narrativa. E di certo, con Marathon vollero seguire la stessa linea di pensiero. La trama primordiale del progetto Marathon consisteva in coloni umani che si imbattevano in un artefatto alieno, portato poi a bordo della navicella spaziale umana, Marathon. Come un ricercatore scientifico, il protagonista avrebbe raggiunto l’artefatto con lo scopo di studiarne la sua tecnologia sconosciuta, scoprendo quasi all’instante che l’intera area era adesso piena di strani nemici alieni, teletrasportati lì proprio dallo stesso artefatto. Ma come si sarebbe poi scoperto, gli alieni stavano semplicemente rispondendo al fuoco nemico degli umani, per proteggere la propria comunità dagli invasori; di fatto questa trama venne quasi subito accantonata. In questo modo, agli occhi del giocatore e del pubblico gli umani sarebbero stati i cattivi, gli invasori del territorio alieno.

Per questi motivi, venne ripensata la narrativa: il giocatore avrebbe dovuto impersonificare un “responsabile della sicurezza” a bordo della UESC Marathon, una nave coloniale pacifica. Durante l’avanzamento dell’avventura, il giocatore avrebbe ricevuto informazioni sul gameplay e sulla trama stessa, accedendo a “terminali” posti in varie zone dei livelli, avendo con questi la possibilità di entrare in contatto con una delle tre intelligenze artificiali presenti sulla nave, Leela, Durandal eTyco.

Il gioco partiva proprio durante un assalto da parte di una nave minacciosa nei confronti della Marathon. Questa razza aliena era conosciuta come Pfhor, ed aveva l’unico intento di annientare gli umani. Simili ai Covenant conosciuti in Halo, costringevano altre razze aliene a combattere sotto la loro bandiera. Quindi ora eravamo noi ad essere i buoni e coloro che dovevano difendersi, e gli alieni i cattivoni di turno.

A complicare il quadro sicuramente non dei migliori, ci si metteva anche una delle tre intelligenze artificiali, Durandal, che cominciava a mostrare dei segni del Rampancy, la cosiddetta obsolescenza. Essenzialmente, cominciava ad essere terribilmente instabile. Ed invece di aiutare il giocatore durante le varie missioni, sembrava andare contro le scelte cosiddette corrette, quasi a cercare di mettere il bastone tra le ruote al protagonista. Questo stile di narrative dava parecchi spunti su cui lavorare, e venne immediatamente accettata dal team, che di prodigò nel renderla fattibile e fruibile nella versione finale di Marathon.

Dopo 2 mesi non-stop di duro lavoro, venne trafugata da internet una beta (un leak voluto o meno non credo di saprà mai…) che fece subito il giro del mondo gaming, sollevando un polverone di discussioni sullo stato del gioco della Bungie. Tutto il lavoro era alla merce di tutti, in molti casi senza texture finali o con moltissimi bug da correggere; insomma, l’incubo di ogni sviluppatore. In Bungie la frustrazione regnava sovrana, ma come si sa, al peggio non c’è mai fine: mentre erano sulle tracce del leaker, ci fu una seconda fuoriuscita di materiale, che avrebbe incluso ancora più megabytes, addirittura anche la colonna sonora.

All’epoca, Bungie marchiò questi comportamenti come altamente non professionali, ma col senno di poi, Seropian fu dell’idea che i leaks ebbero un effetto positivo per il progetto, ponendo gli sviluppatori di fronte a innumerevoli discussioni nate online, che garantivano loro la possibilità di lavorare e migliorare quegli aspetti che solo il fruitore finale poteva scorgere.

Il 23 Novembre 1994 fu rilasciata la prima demo di Marathon. Tre livelli completamente giocabili. Molto corti, a detta dei videogiocatori, ma che accesero una voglia indescrivibile di provare il gioco completo.

L’ultimo poligono di Marathon fu creato alle 06.05 pm, del 14 Dicembre 1994.

Una settimana prima della release finale, lo staff di Bungie aveva accumulato 0 ore di sonno nel precedente periodo. Eppure il lavoro era tutt’altro che terminato, avendo davanti interminabili sessioni di playtest. Jason Jones, da buon stakanovista, fu molto chiaro: nessuno avrebbe lasciato l’ufficio se TUTTI non avrebbero finito il gioco. Due volte. Questa sarebbe stata soprannominata in seguito, la politica del “gioca fino a quando non vomiti”, un test di resistenza estrema che gli avrebbe portati alla sicurezza del gioco finito, pronto a far bella presenza sugli scaffali degli store mondiali (si spera per poco tempo…).

Quella data fu il 21 Dicembre 1994.

Lo stakanovista Jason Jones

Ed il lavoro in Bungie non terminava di certo quel giorno! Anche senza nessun acquisto ancora registrato, c’erano la bellezza di 25.000 pre-orders da consegnare. E per essere sicuri che il gioco fosse consegnato nelle mani dei giocatori entro Natale, spedirono le prime copie senza nessuna confezione. Sebbene questa scelta potesse inizialmente causare qualche disagio all’utente finale, provando il prodotto finito, i giocatori capirono ben presto che lo scatolo potevano pure tenerselo.

Una delle riviste specializzate nel settore videogame, Electronic Entertainment Magazine, marchiò Marathon come il vero e l’unico titolo “Doom killer“, che inizialmente potette sembrare una predizione leggermente ottimistica, ma sicuramente era visto da tutti come il salvatore del gaming su Mac. Essenzialmente, Marathon fece su Mac quello che Doom fece per PC.

Graficamente, Marathon era impressionante, e fu uno degli aspetti che fece infatuare i gamers su Mac, ora sicuramente più di una spanna sopra il precedente titolo Bungie, Pathways. Alcuni critici erano ormai stufi delle sensazioni che forniva l’esperienza Doom, mentre Marathon forniva più stabilità, ogni angolo dei livelli, ogni parete, aveva ora delle textures uniche e curate. Il design degli alieni fece leggermente storcere il naso, ma passò in secondo piano grazie all’ottima giocabilità ed al grado di longevità che il gioco offriva sin da subito, grazie soprattutto ad una new entry che all’epoca fece abbastanza scalpore, essendo Marathon tra i primi titoli ad utilizzare la possibilità di usare l’asse Y per l’osservazione; difatti quasi la totalità degli FPS precedenti consentivano solo una visuale orizzontale su asse X.

Altra caratteristica, che incise molto sulla longevità nonchè sulla difficoltà del titolo fu che, a differenza di Doom, Marathon non consentiva l’autolock dei nemici nella mappa, ma bisognava puntarli come se si stesse impugnando davvero un’arma, a tutt’oggi attributo necessario per qualsiasi FPS in circolazione.

L’aspetto audio era una gioia per le orecchie: suoni realistici e puntuali per ogni singola arma, versi delle creature, aperture e chiusure di porte. A corredo una colonna sonora spettacolare che rendeva questa esperienza unica, facilitando la completa immersione in questo nuovo mondo tutto da scoprire.

Come detto poc’anzi, Marathon era adesso un gioco completamente diverso da Pathways, molto più veloce e solido.

La longevità cercava altresì di aiutare i principianti o i nuovi giocatori del genere, facendo affrontare inizialmente alieni con una IA non molto complicata, asticella di difficoltà che andava ad alzarsi proseguendo di volta in volta nei livelli successivi. Come ogni FPS che si rispetti, anche in Marathon si era costretti a partire con una semplice “45mm“; successivamente potevano trovarsi delle armi potenziate in giro per le mappe, pronti ad affrontare nemici ben più resistenti dei precedenti. Armi come l’Assault Rifle, Pistola ad Energia, Lanciafiamme, e Lanciarazzi potevano liquidare i nemici più ostici ben più rapidamente, e noi fan di Halo da sempre lo sappiamo molto bene. L’IA non era, sinceramente, ai livelli di quella di DOOM, ma la longevità non ne risentì più di tanto. Solo in alcuni casi, la situazione diventava bizzarra, o quantomeno frustrante, dato che poteva succedere che tutti i nemici presenti a schermo potessero attaccarvi in contemporanea, non avendo la minima possibilità di fuga.

Il sistema di salvataggio della partita era controverso: questo poichè se in un titolo come Doom si poteva salvare la partita in qualsiasi momento, in Marathon si aveva la possibilità di farlo solo in prossimità di terminali specifici. Si capì successivamente il motivo: in alcuni casi, per bug non controllati o (non sia mai..) per scelta degli sviluppatori, poteva capitare di finire bloccati in qualche muro o peggio in una piattaforma che non era stata concepita per accogliere il giocatore, cosi come poteva accadere in un punto specifico di Marathon. Se in quel caso, si fosse inavvertitamente salvato il gioco in stile Doom, proprio durante la discesa inesorabile di questa piattaforma, il vostro destino era segnato, vedendovi costretti per forza di cosa a ricominciare il gioco tutto daccapo.

Marathon, il DOOM KILLER

Le mappe di Marathon erano a dir poco immense per i tempi, ed a volte era un tantino frustrante vagare in giro per dei corridoi quasi infiniti, cercando solo una porta magari ben celata da una texture messa in quel posto specifico proprio per farvi penare ed aumentare le vostre ore passate davanti allo schermo. In questo caso, avrebbe portato giovamento la pazienza di leggere alcuni Terminali posti in giro per le mappe, che indicavano con mappe ben specifiche le vie d’uscita di quella particolare zona. Ricordiamo che questi Terminali coadiuvavano il giocatore a comprendere meglio trama, nemici e tutti quegli eventi inspiegabili che potevano dispiegarsi davanti ai vostri occhi. Ad esempio, ad un certo punto della storia, sarete teletrasportati in una nave aliena, con l’obiettivo di cercare indizi e altre informazioni nella sua completezza, per successivamente trovare il punto di sbarco per procedere al teletrasporto verso il punto di partenza. Tutto queste meccaniche erano spiegate in maniera abbastanza intuitiva in un Terminal, ma se malauguratamente vi fosse sfuggito leggerlo o semplicemente non vi andava per niente di farlo, vi sareste trovati abbastanza sperduti e inconsapevoli sul da farsi.

Non c’è che dire, anche in questo caso la Bungie fu una delle prime ad intuire come lo storytelling avrebbe solamente che giovato alla longevità del titolo, ponendo Marathon come primo FPS della storia ad avere, oltre ad un gameplay all’avanguardia sotto molteplici aspetti, una trama avvincente che catapultava il giocatore in una realtà aliena sempre affascinante, e l’impersonificazione del protagonista diveniva un input quasi automatico. Titoli come l’imminente Half-Life ed il successivo titolo Bungie, Halo, avrebbero preso più che uno spunto da tutto questo.

E non dimentichiamoci della chicca: unico nel suo genere su Mac, il multiplayer era una parte integrante del titolo. Ovviamente si parlava di LAN; bastava infatti collegare tra loro i vari dispositivi Mac per buttarsi nella mischia con varie modalità come Free For All, o anche playlist da giocare in Team. 10 mappe furono create esclusivamente per queste modalità, con l’incredibile possibilità all’epoca di buttarci dentro BOT per rendere ancora più competitivo il match tra giocatori umani. Non scordiamoci però che già il precedente titolo Bungie era multiplayer-ready, e questa era una caratteristica talmente importante per Bungie che fu sicuramente la causa del ritardo abbastanza importante della data d’uscita di Marathon.

Marathon fu un titolo d’avanguardia, una storia avvincente che teneva incollati i giocatori ai loro schermi, tanto per soddisfare la loro sete di conoscenza sull’evolversi della trama, tanto per un gameplay strutturato ma sempre pronto a stupire per piccole innovative caratteristiche che avrebbero posto le basi per le successive forme di FPS in tutto il mercato, tanto da fargli valete un posto nella lista globale dei 150 più bei giochi di sempre di un magazine specializzato datato 1996. Marathon era innumerevoli passi avanti ad un Wolfenstein 3D, uscito solo un paio di anni prima, ma anche ad un titolo come System Shock, uscito lo stesso anno.

Bungie giocava ora faccia a faccia con le più grandi case di sviluppo. Solo il tempo avrebbe confermato se questa fu solo una bellissima bolla di sapone, pronta a scoppiare in qualsiasi momento. Ma come ben sappiamo, non è stato affatto così.


Quello che sappiamo del nuovo titolo in sviluppo è che sarà multipiattaforma (parliamo di Series S, X, PC, PS5), e che sicuramente sarà un Extraction Shooter, per capirci simile ai giochi sulla falsa riga di Escape from Tarkov. Saremo dei “corridori“, runners appunto, definiti come mercenari cibernetici, e ci districheremo nel mondo alieno di Tau Ceti IV in cerca di armi, impianti e manufatti rari, che renderanno il nostro personaggio ancora più forte. Magari anche più figo, dato che esteticamente saremo dei concentrati di moda, fantascienza e cyberpunk.

Ogni squadra potrà spawnare in punti diversi della mappa, e il gameplay pare possa essere l’esatto contrario di un qualcosa di già visto, di schermatico: tutto cambia, tutto sarà plasmato dalle singole decisioni delle singole squadre e dalle loro scelte. Nel ViDoc, si fa l’esempio di come una squadra debba, recuperare una chiave aliena talmente rara da sbloccare un’intera nuova zona di mappa, e che possa essere posta su di un altare che ricordi che proprio quella squadra sia stata l’artefice di ciò. Ma per rendere accessibile fisicamente quella zona, debba per forza di cose allearsi con altre squadre e cercare una soluzione reciproca.

Ci saranno innumerevoli modi di vincere: uni dei tanti, il più elementare, sarà quello di sopravvivere; un altro modo potrebbe essere quello di recuperare più manufatti di tutti gli altri; che poi potranno essere combinati con gli altri manufatti presenti sulla mappa per crearne di altri più potenti.

Cercate però di non giudicarlo o accantonare da ora l’idea di giocarlo; sappiamo le potenzialità di Bungie, che praticamente non ha mai sbagliato un colpo dalla sua fondazione. Quello in cantiere, a parer mio, sarà un’esperienza che partirà dalle basi di questo genere di sparatutto, ma potrà tranquillamente divenire un single player game, un pieno PVP in Arena, e perchè no un Battle Royale! Quindi prima di porre limiti o affrettare i vostri giudizi, sarebbe opportuno attendere del gameplay ufficiale che, a detta del video fruibile direttamente dal canale youtube Marathon, sarà visionabile appena possibile. E sono sicuro che, ancora una volta, Bungie potrà dire la sua, a modo suo, possedendo personale molto capace del calibro di Steve Cotton, attuale direttore creativo, che ha lavorato in passato ad Halo 2 e 3 e Cristopher Barrett, uno dei padri di Halo come direttore creativo, ora a capo del progetto Marathon.

Un fotogramma gameplay di Marathon, in sviluppo presso BUNGIE

Per prepararvi alla nuova avventura, perchè non riprendere e portare a termine la precedente trilogia per PC, ora disponibile in rete come Freeware? Non perdete l’occasione di provare il precursore di Halo, dove tutto è nato e tutto, probabilmente, tornerà ad essere.

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